Descrizione
Nato a Celico, a poche decine di chilometri da San Giovanni, nel 1130 circa, Gioacchino ricevette i primi rudimenti scolastici presso Cosenza, ma ben presto fu mandato dal padre a lavorare presso l’ufficio del Giustiziere della Calabria. In seguito ad alcuni contrasti sorti sul posto di lavoro, egli si trasferì prima presso i Tribunali di Cosenza, poi a Palermo, dove il padre gli aveva fatto ottenere un impiego presso la corte normanna. In seguito ad un viaggio in Terrasanta, Gioacchino ebbe un cambiamento radicale: cominciando a dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture, si ritirò dapprima in una grotta sull’Etna, quindi trascorse un anno presso l’abbazia cistercense della Sambucina.
Per poter continuare nella sua opera di predicazione, Gioacchino da Fiore dovette prendere i voti, pertanto compì un viaggio a Catanzaro dove venne ordinato sacerdote. In seguito si stabilì nel monastero di Santa Maria di Corazzo, di fondazione benedettina ma che aspirava a seguire la regola cistercense, del quale, nel 1177, fu eletto abate. Tra il 1182 ed il 1184 compì un viaggio presso l’Abbazia di Casamari, dove cominciò la stesura di due delle sue opere fondamentali: la “Concordia Novi ac Veteris Testamenti” (“Concordia tra il vecchio e il nuovo testamento”) e l'”Expositio in Apocalypsim” (“Esposizione dell’Apocalisse”).
In seguito torna in Calabria, ma abbandona il monastero di Corazzo ritirandosi nella località di Pietralata, che lui ribattezza “Pietra Olei“. I monaci, esasperati dal suo continuo assentarsi dai suoi doveri di abate, presentarono una petizione alla Curia Romana, che decise di risolvere la questione affiliando nel 1188 l’abbazia di Corazzo a quella di Fossanova e prosciogliendo Gioacchino dai suoi doveri di abate, autorizzandolo, di fatto, a proseguire nella sua opera di scrittura. Molta gente cominciò a radunarsi attorno a lui, e il sito di Pietralata divenne ben presto inefficace alla loro accoglienza. Gioacchino si recò sulla Sila, alla ricerca di un sito sul quale avrebbe costituito la sua nuova comunità, e lo individuò nel luogo ove oggi sorge l’abitato di San Giovanni in Fiore. Non fu facile ottenere dal re i permessi necessari per lo stanziamento in quei luoghi, ma alla fine vi riuscì, ottenendo persino un vasto possedimento terriero e alcuni privilegi su tutta la regione.
Nell’agosto del 1196 papa Celestino III approvò la Congregazione Florense. Da questo momento in poi l’abate si prodigò per la realizzazione del suo monastero secondo uno schema simbolico che aveva illustrato in una delle tavole del suo “Liber Figurarum“, incontrando spesso difficoltà e resistenze da parte soprattutto delle comunità monastiche nei territori circostanti, che venivano ad essere interessati dal progetto. L’abate morì nel 1202 presso Canale di Pietrafitta, e fu seppellito nel monastero florense di S. Martino di Canale. Intorno al 1226 i suoi resti furono traslati nell’abbazia di San Giovanni in Fiore, dove si trovano tuttora, che all’epoca era ancora in costruzione.
Il fulcro centrale del pensiero gioachimita è la suddivisione della storia dell’Umanità in tre ere, associate alle tre figure della Trinità. L’Era del Padre corrisponde alla narrazione biblica dell’Antico Testamento, nel periodo che va da Adamo fino ad Ozia, re di Giuda. L’Era del Figlio, corrispondente al Nuovo Testamento, comprende la venuta di Cristo, e dalla fine del regno di Ozia (746 a.C.) si dovrebbe estendere, secondo Gioacchino, fino al 1260, anno che egli aveva profetizzato come inizio della terza era, quella dello Spirito Santo. Nell’Era dello Spirito l’umanità, opportunamente preparata a tale scopo, dopo un periodo di catastrofi apocalittiche avrebbe vissuto uno stato di grazia e di purezza. Con queste idee, quindi, Gioacchino Da Fiore supera la concezione binaria (del Padre e del Figlio) che fino ad allora avevano avuto tutti i Padri della Chiesa per introdurre il modello ternario ispirato alla Santissima Trinità, introducendo l’elemento sinora mancante dello Spirito Santo.
Egli non ebbe vita facile per le sue idee, giacché esse non mancarono di suscitare tensioni, soprattutto nell’ambiente parigino, dove la scuola teologica gli era sempre stata avversa. Fu persino accusato di eresia, a causa di alcune frasi contro Pietro Lombardo contenute in un’opera sulla Trinità erroneamente attribuita a lui. Fu il papa Innocenzo III che, nel 1216, difende il suo nome dichiarandolo “vero cattolico”.
La dottrina Gioachimita, che da allora verrà chiamata “Vangelo Universale”, si diffuse e continuò ad influenzare il pensiero cristiano anche dopo il 1260, quando l’appuntamento con l’avvento dell’Era dello Spirito sembrò essere “rimandato”.
Oltre ad aver profondamente influenzato l’opera di Dante Alighieri, che modellò il Paradiso Terrestre secondo alcune figure simboliche elaborate dall’abate calabrese, tante figure di pensatori successivi s’ispirarono a lui. Tra questi ricordiamo i predicatori Ugo di Digne, Salimbene da Parma, Ubertino da Casale e Girolamo Savonarola, alchimisti come l’inglese Ruggero Bacone, il francese Giovanni di Rupescissa e il catalano Arnaldo da Villanova, filosofi come Guglielmo di Ockam. Quando Pietro Angeleri, predicatore ed eremita sulle montagne del Morrone, in Abruzzo, ascese al soglio pontificio come Celestino V, in molti videro nella sua figura e nelle sue opere la realizzazione delle profezie dell’abate Gioacchino.Ricordiamo, infine, che il pensiero gioachimita influenzò, nel XV sec., le dottrine filosofiche che caratterizzarono la Confraternita dei Rosa-Croce: è stato, tra l’altro, sottolineato il parallelismo, forse non casuale, tra la vita del padre eponimo Christian Rosencreutz, narrata nella “Fama Fraternitatis” (1614), e le vicende personali di Gioacchino.